Umberto Magni del PD : ” LA LEZIONE DIMENTICATA DELLA PRIMA REPUBBLICA SUL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE “

 

Negli ultimi giorni, la doverosa analisi fattuale degli ultimi sviluppi del conflitto israelo-palestinese (forse tragedia sarebbe più appropriata come parola) è stata spazzata via dallo schierarsi, anche a livello locale, con l’uno o l’altro contendente.

Purtroppo, è doloroso notare un certo conformismo da parte dei “liberali per Israele”, come se le ragioni della Palestina non siano “glamour” o come se denunciare le politiche criminali del governo di Netanyahu voglia significare essere anti-israeliani o, peggio ancora, parteggiare per Hamas

La tragedia israelo-palestinese si radica nello scontro tra due ragioni: da qui la drammaticità storica del conflitto. Tuttavia, anche i più sensibili alle ragioni dello stato di Israele non possono negare le politiche di occupazione neocoloniali portate avanti dall’estrema destra israeliana nell’ultimo decennio. Cosa rimane di quei pioneri socialisti arrivati dalla Galizia, dalla Polonia, dalla Russia, dall’Ucraina che avrebbero inventato i primi kibbutz? Nulla.

La miccia che ha dato fuoco alle polveri in queste settimane va localizzata a Gerusalemme Est, dove si scatenata una violenza inaudita, in violazione di ogni elementare regola del diritto internazionale, di coloni estremisti di destra e forze militari israeliane contro i palestinesi ivi residenti. Nel quartiere di Sheikh Jarrah, infatti, torme di coloni con l’ausilio dell’esercito hanno sfrattato alcune famiglie palestinesi dalle loro case 

Addirittura, nell’ultimo venerdì di Ramadan, le forze militari israeliane hanno fatto irruzione nella moschea al-Aqsa, dove centinaia e centinaia di palestinesi stavano pregando, con tanto di lacrimogeni, bombe sonore e proiettili di metallo rivestiti di gomma. La moschea, alla fine, è stata criminalmente sgomberata a forza, con quasi duecento feriti. Da lì la reazione criminale di Hamas, con Iran e Turchia che soffiano sul fuoco, e la sproporzionata controffensiva israeliana.

Dal 1967 ad oggi sono più di 14.000 i palestinesi a cui è stata revocata la residenza a Gerusalemme Est. L’obiettivo strategico israeliano, che ha subito una devastante accelerata con Netanyahu, è affermare una realtà geografica e demografica che confini i palestinesi in una sorta di apartheid, ciò che che lo storico israeliano Ilan Pappé ha definito «geografia del disastro».

La drammatica realtà è che c’è chi vive in città moderne e scintillanti e chi invece continua a sopravvivere a stento in territori circondati da muri, posti di guardia e fili spinati. Anche così si spiega la vittoria dei fondamentalisti islamici e di Hamas, a cui aderiscono migliaia di giovani disperati senza alcuna speranza, oramai disillusi dalla possibilità di vivere nella pace e nel godimento delle proprie aspirazioni e dei propri diritti. 

La progressiva espulsione degli arabi da Gerusalemme Est (ancora oggi occupata illegittimamente da Israele, come statuisce la risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) ha assunto un carattere simbolico devastante che rischia di far impantanare, assieme alla partita sporca e criminale giocata da Hamas che nega il diritto di Israele ad esistere, la soluzione ideale “due popoli, due stati”. Gli accordi di Abramo siglati da Trump con Israele e le petromonarchie del Golfo, escludendo i palestinesi e la decisione di Netanyau di annettere porzioni sempre più ampie di Cisgiordania e Gerusalemme non hanno fatto altro che rendere più lontana la pace. 

Dopo anni di instabilità politica, scelte scellerate e radicalizzazione delle posizioni, il massacro di questi giorni era ampiamente prevedibile. Si possono però fare parti uguali tra disuguali? Credo di no, senza per questo dover essere catalogati come simpatizzanti dei vigliacchi criminali di Hamas che sparano razzi sui civili o si nascondono tra di essi. Lo stato di diritto si basa sul monopolio della forza e sulla proporzionalità del suo uso. Oltre 200 morti palestinesi (63 bambini, 36 donne e 16 anziani) stanno lì a dimostrare che non si può parlare di operazioni mirate.

C’è da sperare che, da qui in avanti, sul conflitto israele-palestinese ci possa essere meno propaganda e più capacità di promuovere iniziative politiche realistiche che facciano fare passi in avanti verso la pace. Forse abbiamo dimenticato la lezione che viene dalla Prima Repubblica, con una politica estera che ha saputo far valere la proiezione mediterranea dell’Italia e la preoccupazione per la stabilità geopolitica dell’area mediterranea. La sicurezza e la pace nel mondo arabo, infatti, posto a pochi passi dal Canale di Sicilia, furono un obiettivo cruciale per la diplomazia costruita da uomini come Aldo Moro, Enrico Mattei, Giulio Andreotti e Bettino Craxi, senza mai mettere in dubbio l’esistenza dello stato di Israele.

Ed è proprio alla parole di Bettino Craxi, pronunciate alla Camera dopo la crisi di Sigonella, che toccherebbe tornare per smorzare il coro unanime e conformista di queste ore.

“Quando Giuseppe Mazzini, nella sua solitudine, nel suo esilio, si macerava nell’ideale dell’unità ed era nella disperazione per come affrontare il potere, lui, un uomo così nobile, così religioso, così idealista, concepiva e disegnava e progettava gli assassinii politici. Questa è la verità della storia; e contestare a un movimento che voglia liberare il proprio Paese da un’occupazione straniera la legittimità del ricorso alle armi significa andare contro le leggi della storia. Si contesta quello che non è contestato dalla Carta dei principi dell’Onu: che un movimento nazionale che difenda una causa nazionale possa ricorrere alla lotta armata”.