Pubblici Esercizi, 4.700 imprese in ginocchio.

 

Fipe Confcommercio Umbria “Decreto liquidità insufficiente”.

 

Quasi 4.700 imprese, di cui circa 2.000 nel settore bar e oltre 2.500 in quello della ristorazione che da un mese sono chiuse. Il numero dei pubblici esercizi che in Umbria stanno scontando l’effetto Coronavirus rende chiaramente l’idea di un settore messo in ginocchio, con tutte le conseguenze in termini occupazionali, dato che il comparto, con diverse modalità, occupa migliaia di persone, a cui si aggiunge l’assoluta mancanza di reddito in questo periodo per gli imprenditori.
Fipe Confcommercio Umbria, sulla linea di Fipe nazionale,  il maggior sindacato di rappresentanza del settore, lancia un grido di allarme: “Senza una iniezione immediata di liquidità – sottolinea il presidente regionale Fipe Romano Cardinali – 
un aiuto economico significativo e una prospettiva circa la riapertura, tante delle nostre imprese non ce la faranno, e l’Italia e l’Umbria si troveranno impoverite di una rete di ristoranti e locali che sono una componente fondamentale e qualificante dell’offerta turistica, che a livello nazionale conta 300mila imprenditori, dà lavoro a 1 milione e duecentomila persone, sviluppa un volume d’affari superiore agli 86 miliardi, con un valore aggiunto di 46 miliardi di euro. E purtroppo – continua Cardinali – la lettura delle bozze del decreto liquidità non ci conforta. Secondo quello che possiamo valutare dalle anticipazioni, le misure del governo si rivelano utili solo per gli imprenditori che chiederanno prestiti sotto i 25mila euro. Chi chiederà cifre superiori ai 25mila euro deve fare diversi passaggi e rischia di dover aspettare tempi lunghi. Una situazione che penalizza chi ha maggiori problemi di liquidità e un tempo di sopravvivenza residua breve, come le imprese dei pubblici esercizi, che hanno già perso oltre 22 miliardi di euro nel 2020. Il limite dei 25.000 € con garanzia automatica al 100% deve essere aumentato. Oltre al danno, però, ecco la beffa: chi riuscirà ad accedere ai prestiti, rischia di dover utilizzare buona parte del credito per pagare le tasse, la cui scadenza è stata prorogata solo fino a maggio. Non sottovalutiamo lo sforzo fatto dal governo – dice ancora Cardinali – ma serve velocità, zero burocrazia e certezza dei tempi e soprattutto servono risorse vere, contributi a fondo perduto per compensare anche solo parzialmente la perdita del fatturato. Indebitandosi si sposta il problema, non lo si risolve”.

Da Fipe Umbria anche la richiesta di indicazioni chiare, prima possibile, se non sui tempi, almeno sulle modalità di riapertura. “Proprio perché la tutela della salute deve essere sempre la priorità per tutti – prosegue Cardinali – i pubblici esercizi hanno bisogno di conoscere con largo anticipo rispetto alla data in cui potranno riaprire le regole da adottare, in materia ad esempio di distanziamento, in modo da potersi preparare fin da subito, adattare le strutture e preparare il personale, dato che davvero non possiamo permetterci di perdere neppure un minuto e dobbiamo essere messi nelle condizioni di operare appena sarà stabilito”.  

Se l’angoscia e la preoccupazione sono grandi gli imprenditori del settore ristorazione però stanno mettendo in campo strategie di resilienza e trovando canali alternativi per mantenere il contatto con la propria clientela. Alcuni ristoratori si sono attrezzati già o si stanno attrezzando, ottemperando alle precise regole da seguire, per le consegne a domicilio, consentite anche per questo settore. In vista della Pasqua dunque chi era abituato ad andare al ristorante potrà comunque avere la possibilità di farsi recapitare a casa in tutta sicurezza i piatti preferiti.

“Il nostro settore – conclude il presidente di Fipe Confcommercio Umbria – pur colpito al cuore cerca comunque di alzare la testa e di costruire prospettive e percorsi alternativi, non solo per arginare l’emergenza, ma per soddisfare una modalità di domanda e di consumo che l’esperienza coronavirus muterà certamente”.