“Attenzione, umiltà e felicità: il concerto di Simone Cristicchi” di Andrea Carbonari

 

Lo spirito francescano di Iacopone, sia quello umile, come quello sferzante, dissacrante del potere e  anche quello giubilante, si è incarnato magistralmente nel mirabolante concerto di chiusura del Todi festival, che ci ha donato Simone Cristicchi, domenica 1. settembre al teatro comunale di Todi.

Definire Cristicchi semplicemente un cantautore è certamente riduttivo, perché i suoi “quattro accordi e un pugno di parole”, perfettamente combinati tra di loro, aprono squarci di verità, come luci accecanti, sulla nostra fragile quotidianità, sui sentimenti, sul falso perbenismo, sulla storia che non è maestra di niente, su mondi altri, di cui ben poco sappiamo, e che vorremmo giudicare dalle nostre comode poltrone.

Cristicchi è poeta, perché in punta di piedi e con molta umiltà esplora l’animo umano con tutte le sue contraddizioni; ma è anche contastorie, perché intervalla brani musicali a racconti ora simbolici, ora realistici; è giullare, perché con il sorriso di un bambino, evoca dimensioni dove “tutto ha senso” e ci fa ridere e ballare, senza un senso apparente; è saltimbanco, perché vive sul palco l’enorme energia della sua musica, ora tenue, ora pirotecnica, in continua trasformazione; è favoliere, perché riesce ad incantare piccoli e grandi, con quei “quattro accordi e un pugno di parole” sempre diversi: sfumati, sottili, ironici, critici e surreali.

Per ben due ore è riuscito a captare l’attenzione di un pubblico che, nonostante il caldo, ha anche cantato, ballato e ascoltato con estremo interesse le storie di vita, amore, morte, follia che fanno parte del “corredo” umano; con estrema umiltà ha dato voce al dramma dell’effimero successo e della bellezza sfiorita (“Laura”); alla tragedia degli istriani “deportati” e costretti a lasciare le oro terre (“Magazzino 18”); alle dinamiche di quella pienezza di emozioni che noi “normali” definiamo follia (“Ti regalerò una rosa”).

Ma da guitto infaticabile si è anche districato egregiamente tra dialetto romanesco (“I matti de Roma”), tanto per non dimenticare le origini, che poi sono le radici dal cui albero le sue fronde sono fiorite, e brani ironico-sarcastici di stampo sociopolitico.

Sempre con molto amore (quell’”amore che ci cambia dentro”) ha reso omaggio al grande poeta della canzone italiana, Sergio Endrigo, duettando con il pubblico. Proprio come un giullare ci ha fatto ridere, sorridere, emozionare, piangere, riuscendo a toccare tutte le note dell’animo umano.

Insomma un artista a tutto tondo che ci ha donato la cosa più bella che si possa donare: la felicità. La felicità  di esserci stati, lí, con lui, a Todi in un grande abbraccio corale.

Iacopone da Todi, dovesse nascere una seconda volta, lo chiamerebbe a comporre una nuova lauda; anzi, forse già l’ha chiamato e si stanno divertend