DIMISSIONI FERRUCCI. CHAPEAU, PROFESSORE di Giuseppe Castellini

 

Il commissario dell’Adisu (Agenzia per il diritto allo studio universitario), Luca Ferrucci, si è dimesso dall’incarico ricevuto circa 16 mesi fa dalla giunta regionale, ad agosto. Peccato, perché il professore (Ferrucci è Ordinario all’Università di Perugia, facoltà di Economia) già in questi 16 mesi ha dimostrato che la sua amministrazione, se fosse durata, sarebbe stata molto positiva, fondata su progetto strategico chiaro che Ferrucci ha più volte spiegato, anche su queste colonne e in una bella intervista andata in onda nella trasmissione ‘Economia – Le Interviste’ sul canale 11 – Trg del digitale terrestre.
La Regione ha reagito bollando come “incomprensibili” le sue dimissioni. Invece a mio parere sono comprensibilissime.
Il nodo, è inutile girarci intorno o porlo in forma dubbiosa come alcuni hanno fatto, è la questione dello studentato vicino a San Bevignate, la famosa chiesa che è uno dei gioielli di Perugia. Una vicenda che inizia nel 2004 e che per un po’ di anni, mentre percorreva tutto l’iter amministrativo, nessuno ha sollevato, benché la costruzione prevista fosse di notevoli dimensioni. Tutti d’accordo: Regione, Comune e Università.
Fino a quando, un paio di anni fa o giù di lì, inizia un movimento cittadino di protesta che porta in evidenza la questione (purtroppo la stampa umbra e in particolare perugina, e dico tutta comprendendo anche me che allora dirigevo il Giornale dell’Umbria, si era fatta passare la questione sotto il naso, ignorandola e saltandoci sopra solo dopo che altri l’avevano fatta scoppiare), sollevando un grosso clamore perché sostenuta dall’opinione pubblica di Perugia in maniera crescente. Portando due motivazioni di fondo assolutamente ragionevoli: primo, fare uno studentato di quelle dimensioni lì era del tutto inopportuno, vista la vicinanza di un bene culturale importante come la chiesa di San Bevignate, un vero gioiello artistico e culturale. La realizzazione di una struttura di quella caratura avrebbe, insomma, penalizzato il pregio di San Bevignate. Secondo, non si capiva perché si fosse scelta per lo studentato proprio quella zona, dove i servizi sono praticamente assenti. E ciò mentre era pienamente in corso l’operazione Monteluce e il centro continuava a spopolarsi e a declinare. In più, l’emorragia di iscritti all’Università di Perugia (ben taciuta negli anni, tanto che i dati ufficiali del declino degli iscritti all’Ateneo sono venuti fuori l’estate appena trascorsa grazie questa volta alla stampa che ha reperito le cifre del Ministero), nel frattempo si era fatta grave e una struttura di quelle dimensioni non si sa bene chi avesse dovuto accogliere.
Senza contare poi che, sulle strategie delle residenze per studenti universitari, oltre alla realizzazione dello studentato a Monteluce (riattivato come cantiere proprio da Ferrucci e che sarà consegnato a breve), il piano del commissario prevedeva la centralità nella ristrutturazione attuale e futura delle residenze nel centro storico, come detto in sofferenza per tanti motivi.
Ma la questione, per farla breve, è che intanto le procedure amministrative erano state tutte espletate e l’appalto dell’opera era stato affidato, per 12 milioni di euro.
Regione e Comune, davanti a un movimento di opinione come quello che si era creato, vanno in difficoltà e ondeggiano. Cominciano, all’interno delle Istituzioni, a farsi largo le voci che affermano come quell’opera appaia insensata e non vada fatta. Ma viene detto anche che, visto che l’affidamento dei lavori era stato effettuato, il rischio è di dover pagare alla dita una penale del 10% dell’importo, quindi 1,2 milioni di euro. Però il clima è quello di trovare una strada per evitare la realizzazione dell’opera.
La questione si trascina, i cittadini sono convinti di aver sollecitato la volontà politica delle Istituzioni affinché non si vada avanti nella realizzazione del progetto e che, alla fine, nella sostanza la battaglia sia vinta o quasi. Tanto che la vicenda ogni tanto è rispuntata, ma nella sostanza è uscita dalla luce dei riflettori, sotto la quale è molto probabile che tornerà presto.
Ma il fuoco cova sotto la cenere e, tralasciando tutta una serie di passaggi che tratteremo in un prossimo articolo carte alla mano, arriviamo a Ferrucci. Il neo commissario si trova questa patata bollente tra le mani. Di suo considera un grave errore la realizzazione di quell’opera, ma lui è il presidente dell’Adisu e, trattandosi di un bene pubblico, non può di suo danneggiare patrimonialmente l’Ente che è stato chiamato a dirigere. Probabilmente conta sull’appoggio di Comune e Regione per trovare una soluzione che eviti la costruzione di quegli ‘stecconi’ e ha fiducia nella volontà politica a suo tempo, nel pieno della polemica, espressa dalle Istituzioni sul fatto che si sarebbe tentato di tutto, o quasi, per evitare un’opera che la città percepisce come una ferita peraltro inutile. Meno certa la posizione delle Istituzioni accademiche, che non si è mai capito bene come giudichino la vicenda degli ‘stecconi’ a San Bevignate. Perché una cosa è certa: non si tratta di un problema tecnico e amministrativo dell’Adisu, ma è un problema politico che appartiene a tutta la città e quindi tutte a le Istituzioni: Ateneo, Comune e Regione.
Si arriva però – anche qui per semplificare saltiamo passaggi amministrativi e giudiziari – al dunque della famosa sentenza del Tar di un paio di mesi fa, in cui il giudice dà ragione all’Adisu e riconosce quindi il pieno diritto a realizzare l’opera, visto che tutti i passaggi amministrativi erano stati perfezionati o quasi. Si spera nella Soprintendenza. Quest’ultima in effetti in giudizio presenta una valutazione negativa sugli ‘stecconi’, che però agli occhi di giudici appare del tutto insufficiente e molto generica, tanto che nella sentenza lo scrivono chiaramente. Insomma, sembra capire che anche i giudici in cuor loro vorrebbero che quell’opera non si facesse perché appare insensata, ma i giudici applicano la legge e, ai loro occhi, la valutazione negativa della Soprintendenza, per come è fatta, non fornisce alcun appiglio giuridicamente fondato.
Nel frattempo la Soprintendenza, e questo francamente appare sorprendente, non presenta appello contro la sentenza al Consiglio di Stato e così quel verdetto diventa esecutivo. Insomma, la frittata è fatta.
A questo punto Ferrucci ha due strade davanti. Realizzare gli ‘stecconi’ sfidando una città intera e passando alla storia di Perugia come una sorta di Attila – proprio lui che, è noto, vede quell’opera come un’insensatezza – oppure non realizzarla versando la penale di 1,2 milioni di euro alla ditta che si è aggiudicata i lavori. In questo secondo caso rischia di grosso, perché si troverebbe addosso,e da solo, la Corte dei conti che certamente lo metterebbe sotto processo per danno erariale, avendo pagato la penale.
Fin qui la ricostruzione appare abbastanza chiara. Quello che non è chiaro è cosa sia successo in queste settimane. Probabilmente Ferrucci ha sondato Comune, Regione e Ateneo per sollecitare uno schieramento istituzionale che gli proteggesse le spalle, perché la questione è politica e solo se c’è la volontà politica si possono tentare strade amministrative che, in nome dell’interesse pubblico, portino a sventare quel progetto. Ma evidentemente le porte a cui avrà bussato sono restate chiuse, o almeno socchiuse. L’ipotesi è che si sia trovato solo. Sul fronte dalla posizione dell’Ateneo, poi, è probabile che abbia trovato il solito muro di gomma.
La Regione afferma che le sue dimissioni sono ’incomprensibili’, ma è trapelato che il professore abbia allegato alla lettera di dimissioni una serie di pagine in cui, stando ai ‘rumors’, spiegherebbe per filo e per segno le ragioni della sua decisione.
Lasciatemi fare un po’ di dietrologia. Forse c’era e c’è chi, a torto o ragione, magari alla luce dell’iter amministrativo molto avanzato e della sentenza del Tar divenuta definitiva, riteneva e ritiene che quel progetto vada fatto. E pensava di aver trovato chi si sarebbe scottato le dita di quel cerino da tempo acceso. Si sarebbe scaricato tutto sulle spalle del professore, in una sorta di gioco a tressette col ‘morto’, lasciando lindi e pinti tutti gli altri. Ma il ‘morto’ designato s’è dimostrato piuttosto vivo. Riportando la palla a chi la deve giocare e deve spiegare ai perugini: le Istituzioni. Magari, ‘scottandosi’ le dita pure loro.
Da questo punto di vista, se le dimissioni del professor Ferrucci serviranno a spingere a fare chiarezza sulla volontà politica di tutte le Istituzioni, il suo “sacrificio” avrà un significato per la città.
Ricostruzione fantasiosa, la mia? Può essere. Fondata su elementi certi e probanti? Certamente no. Ma credo che molto chiarirebbero quelle pagine, se ci sono, che Ferrucci avrebbe allegato alla lettera di dimissioni. Renderle pubbliche sarebbe davvero interessante. Si capirebbe bene, allora, se le dimissioni di Ferrucci siano ‘incomprensibili’. Io scommetto di no e, nei suoi panni, avrei fatto la stessa cosa. Anche perché il gioco del tressette non mi è mai piaciuto. Soprattutto quando capisco che il ‘morto’ designato sono io.
Quindi chapeau, professore. Perché le dimissioni, in Italia e soprattutto in Umbria, sono cosa rara, e regolarmente le cose in cui si crede cedono il passo, tra mille giustificazioni che non mancano mai, a piccoli interessi ‘particulari’, tanto che il fossato tra Umbria reale e Umbria legale non è mai stato così largo ed è diventato una voragine. E perché, mettendo a nudo ‘il re’, forse chiariranno davvero cosa le Istituzioni pensano di fare. Rispondendone ai perugini e agli umbri. Con le sue dimissioni, insomma, ogni maschera è caduta. Già questo, ai miei occhi e credo a quelli di tanti altri, è un successo