Il Comune di Todi sceglie la vita Al via un fondo di solidarietà per la maternità

Approvato dal consiglio comunale un ordine del giorno che prevede lo stanziamento di tremila euro l’anno per le madri in difficoltà e non solo
Todi per la Famiglia: “Dalla nostra città un segno di attenzione concretoverso tutte le donne”

 

Il consiglio comunale di Todi ha approvato un ordine del giorno presentato da Todi per la famiglia sul tema della pillola abortiva Ru486. Il documento impegna il sindaco e la giunta a promuovere la corretta applicazione della legge 194/78 e dunque, pur lasciando alle donne libertà di scelta circa le metodologie da utilizzare per l’interruzione volontaria di gravidanza, a favorire che tali interventi avvengano nel pieno rispetto e nella piena tutela della salute e della sicurezza delle donne; a sostenere la piena attività dei consultori come luogo di corretta informazione e sostegno psicologico nei confronti della donna; a promuovere la costituzione e l’entrata in funzione di centri di aiuto alla vita sul territorio comunale come strumento di sostegno per le donne e in piena applicazione di quanto previsto dalla 194/78 che indica la necessità di “eliminare tutte le cause” che indurrebbero la donna a scegliere l’Ivg; a farsi promotori presso la giunta regionale dell’Umbria della creazione di un fondo di solidarietà per le donne che scelgono di portare avanti la gravidanza, che potrà essere alimentato in quota parte dalle istituzioni locali, provinciali, e regionali ed aperto anche a donazioni da parte di soggetti privati ed associazioni ed infine a contribuire ogni anno a questo fondo di solidarietà con una quota pari a 3.000 euro da bilancio a partire dal 2021.

A nostro parere, non c’è migliore modo di affrontare la discussione su un tema delicato come l’interruzione volontaria di gravidanza che attraverso ciò che prevede, all’articolo 1, la legge del 22 maggio 1978, numero 194 e che, per inciso, interviene in materia di “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.

Recita l’articolo 1 che “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.

Questa stessa legge, all’articolo 2, individua in modo esauriente il ruolo a cui debbono assolvere i consultori familiari: si parla di informazione alle madri, informazioni circa diritti e servizi a disposizione e di attività che possano contribuire “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”.

Ringraziamo il sindaco Ruggiano e la giunta, con in testa l’assessore Alessia Marta, e i consiglieri di maggioranza che hanno appoggiato la nostra iniziativa.  Avremmo voluto confrontarci anche con i consiglieri di opposizione e farlo non su ideologie e pregiudizi, ma su fatti concreti che toccano la carne di tutte le donne.

Perché il nostro obiettivo era non di alimentare un dibattito che polarizzasse posizioni sterili tra chi è contro e chi è a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza.La legge 194 è una legge dello Stato italiano e come tale va rispettata. Diremo di più, va applicata in tutte le sue parti e non stiracchiata per sostenere posizioni di comodo o posizioni ideologiche.

In Umbria, mediamente, ogni anno si effettuano un migliaio di interventi chirurgici (1043 nel 2018, ultimi dati disponibili dalla più recente relazione al parlamento sulla applicazione della L.194/78) per l’interruzione volontaria di gravidanza. Gli aborti con mifepristone e prostaglandine, cioè la usuale procedura di aborto farmacologico, sono una quota residuale: nel 2018 sono stati 48.

Inoltre nella casistica non trova alcuno spazio una indagine sulle cause che inducono all’aborto. Si contravviene, dunque, a quel pezzo di legge che dice al contrario di voler “contribuire a far superare” proprio queste cause.

Ora, posta la cornice del rispetto istituzionale, è legittimo avere opinioni diverse sulla bontà di una legge che nasce in un contesto politico e sociale che è completamente diverso dal nostro.

Non è possibile però tollerare che, in 42 anni di vita, ad essere “abortito” sia stato lo spirito stesso di quella legge, che voleva tutelare la salute delle donne, consentendo di effettuare le interruzioni di gravidanza con le garanzie del Sistema sanitario nazionale (SSN) e quindi solamente all’interno di alcune ben specifiche strutture del SSN, come esplicitamente indicato dall’art.8 della legge.

Una legge che non prevede linee guida: le linee di indirizzo del ministro Speranza, come quelle precedenti, sono indicazioni non vincolanti, tanto che dieci anni fa, quando entrarono in vigore, subito l’Emilia Romagna ha dichiarato di non seguirle e ne ha elaborato di sue proprie, così come hanno fatto nel 2018 la Lombardia e l’Umbria. È quindi pienamente nelle competenze della nostra regione elaborare ed attuare proprie linee guida per l’aborto farmacologico, qualora le ritenesse di maggior garanzia per la tutela della salute delle donne rispetto a quelle indicate dal Ministero della Salute.

Chiediamo comunque, inoltre, una farmacovigilanza adeguata a questa procedura: l’attuale farmacovigilanza è costruita sull’aborto chirurgico, è ben fatta, ed accurata, come si può vedere dalle relazioni al parlamento sull’applicazione della L.194, ma non è adeguata per l’aborto farmacologico. Chiediamo che si faccia una indagine seria sui rischi che l’aborto farmacologico comporta e si fornisca una informazione dettagliata alle donne. Chiediamo che la procedura venga monitorata con la stessa accuratezza con cui già si sta facendo per l’aborto chirurgico.

Noi chiediamo, insomma, di dare un segnale forte, concreto, che sia qualcosa di molto di più di uno slogan. Chiediamo che l’Umbria sia da esempio e non sia soltanto un titolo di giornale. Chiediamo che dalla nostra città possa partire un segnale di attenzione nei confronti delle donne, di tutte le donne.

Soprattutto di quelle che sulla soglia di un evento che dovrebbe rappresentare un momento meraviglioso, si sentino invece come sull’orlo di un precipizio.