Intervengo ancora sul Cinema Iacopone per smentire un’ipotesi già circolante e poi involontariamente confermata dalle dichiarazioni del collega gestore marscianese Romolo Abbati, che comunque ringrazio per il contributo di idee e al quale, però, devo cordialmente ribattere che gli “utilizzi più disparati” da lui consigliati, lo Iacopone li pratica comunemente e da sempre. Certo, nei limiti della sala, che, gli ricordo, non è paragonabile a quella di Marsciano, struttura polivalente di autentico cinema-teatro ( a Todi i veri teatri sono altrove) con i suoi trecentocinquanta posti contro i centodieci della sala diocesana tuderte. Ma li pratica, e in linea con le voci che lui cita: matinées per le scuole, saggi di danza, convegni, e persino teatro, malgrado una fettina di palcoscenico senza ribalta né sipario. Anche in quest’ ultimo anno: due recite e un festival di quattro giorni. Ma non è polemica, è, come ho detto, la necessità di confutare un’ipotesi, e cioè che l’abbandono derivi da problemi connessi all’attività, tipo crisi di spettatori o altro. Prego vivamente di intendere, una volta per tutte, che non è vero: questo aspetto esiste, qui come altrove, ma nell’attuale vicenda non c’entra per niente. C’entra, come già dichiarato, il mutato rapporto tra i gestori e l’Ente proprietario. Per chiarirlo, è necessario un breve spaccato di recente storia cinematografica umbra. Sei anni fa chiusero i cinema di Deruta e di Bastia, alla svolta digitale del 2014 si sono fermati il Perla di Amelia, l’Italia di Gubbio e il Corso di Spoleto, seguiti poco dopo dall’Eden di Città di Castello: evidentemente dissuasi dal caricarsi di spese per la nuova macchina. Spoleto e Città di Castello hanno rimediato riadattando piccoli ambienti, Gubbio è rimasta con un solo locale, Bastia ha operato una riapertura parziale, Amelia e Deruta sono a secco: senza più cinema, presumibilmente per sempre. Lo Iacopone ha retto, accettando di diventare una delle due o forse tre monosale di centro storico rimaste in Umbria, intendendo per questo tipo di monosala un ambiente con caratteristiche precise: schermo unico, posizione defilata, accesso impervio, problemi di parcheggio.
Per quale e quanto pubblico? Misurato in termini aritmetici, tale da aver autorizzato già da tempo la chiusura; giudicato in altro modo, tale da indurre a continuare, nella percezione che a Todi un pubblico di cinema c’è ancora, e va tutelato. Il problema è che non è più un pubblico numericamente adeguato a sostenere, da solo, l’attività, come avveniva in altra epoca, come è avvenuto per decenni. Ma non soltanto a Todi, ovunque. Nessuna monosala vive ormai di introiti propri, nemmeno là dove esiste un bacino di utenza superiore a quello tuderte. Gli esempi sono a due passi da noi.
Ma lo Iacopone fa eccezione, si disse, perché ha una gestione privata e quindi non può accogliere risorse pubbliche: e l’obiezione che il cinema non lo fa privatamente per sè, ma pubblicamente per la città, non può essere accolta. Così si disse e si ribadì anche nel difficile passaggio del 2014, quando arrivò il digitale e, in mancanza di aiuti, la cosa più logica sarebbe stata, veramente, di chiudere. Lo Iacopone decise, invece, di proseguire, potendo ancora contare su quello che è stato, negli ultimi quindici anni, l’unico vero sponsor, seppure indiretto, e cioè la Curia, che, su iniziativa del vescovo Grandoni, poi confermata da Scanavino e avallata dai sacerdoti di una sede ancora prevalentemente tuderte, cessò di richiedere la cifra d’affitto, regolarmente corrisposta dal 1983 in avanti. Perché, se qualcuno non lo ricordasse, questa è una gestione che parte dal 1983, da quando il disastro del Vignola aveva obbligato tutti i locali alla chiusura, lo Iacopone era un antro informe e il destino cinematografico di Todi poteva già allora allinearsi a quello di altre città, anche più grandi (vedi Assisi) dove il cinema tace da una vita. Invece qualcuno si fece avanti e il cinema è potuto durare altri trent’anni e oltre. Ma tolto, oggi, questo sostegno, e ipotizzata addirittura una ricognizione del pregresso, è evidente che le condizioni per continuare non ci sono più. Questi sono i motivi, e non altri.
Manfredo Retti
Presidente dell’Associazione Culturale “Iacopone