INTERVISTA A ROBERTO CARBONARI,AUTORE DEL LIBRO “ La porta n.10 “

“…il passato è una terra straniera”. Spesso è così: soprattutto nelle comunità piccole e per eventi che non hanno risonanza particolare, succede che l’oblio del tempo seppellisca tutto. Uno degli scopi del mio libro è quello di rendere meno straniero quel passato…“

 

Il libro di Roberto Carbonari ha suscitato parecchio interesse in città, in particolar modo in quella fascia di età che ricorda o ha sentito ampiamente parlare della storia di una delle più importanti realtà produttive del territorio, il Gruppo Carbonari.

Realtà  che dalla metalmeccanica agricola aveva allargato negli anni cinquanta e sessanta l’interesse imprenditoriale in altri settori produttivi. Parliamo di aziende  che indubbiamente contribuirono  per decenni anche allo sviluppo economico del territorio, dando tra l’altro occupazione a centinaia di persone e creando pure specializzazioni che furono poi utili ad altri imprenditori.

 

Abbiamo seguito con attenzione il libro di Roberto, che ha cercato di far comprendere ai lettori una verità da lui perseguita senza acredine,ci sembra, ma con la ben chiara idea di ristabilire una verità nascosta dalla polvere del tempo. Verità difficile però  da riscrivere,sicuramente, visto che vengono citati, con pseudonimi, personaggi di livello della vita di una realtà di provincia.

Roberto Carbonari ci ha provato, lavorando su un memoriale troppo a lungo rimasto in un cassetto e da lì ha cercato la soluzione ai suoi quesiti, soluzione  forse che nessuno ebbe il coraggio di trovare, all’epoca.

 

Dalla lettura appare evidente che Lei ha pensato moltissimo ad un periodo particolare della sua vita. Poi decide di aprire la porta, di guardare gli archivi, di togliere la polvere della storia da una vicenda che la colpì profondamente insieme alla sua famiglia. Perché ?

  “All’epoca dei fatti narrati io ero appena adolescente e quegli eventi, dolorosi per la mia famiglia e per la comunità tuderte, li ho subìti ma non compresi. Gli anni trascorsi hanno creato una frattura interiore (è naturale credo rimuovere il passato che ci ha ferito) e un distacco da quella memoria. Poi però la scoperta del memoriale – che è la base reale su cui si fondano le radici del mio romanzo – mi ha convinto che era necessario fare qualcosa per riportare alla luce una verità non chiara a tutti coloro che l’hanno vissuta o solo sentita raccontare, con un occhio anche alle nuove generazioni tuderti che per questioni anagrafiche non conoscono quella storia.”.

 

C’è un aspetto che ci ha incuriosito : la sua analisi su una manovra di fatto anche politica volta a ridimensionare uno storico gruppo imprenditoriale tuderte, qual’era il Gruppo Carbonari, a favore di una realtà concorrente delle stesso settore ma in un territorio diverso. Al riguardo fa precisi riferimenti a personaggi della Democrazia Cristiana. Al lettore    può risultare difficile comprendere questo passaggio in cui di fatto esponenti politici tuderti remano contro quello che al momento era un gruppo imprenditoriale che garantiva sviluppo in un territorio non certo ricco di fabbriche. Come è arrivato a questa analisi ?

Bisogna sempre tener presente che si tratta di un romanzo e che la narrazione corre su tre piani diversi ma molto collegati: il memoriale (i fatti nudi e crudi visti da chi era dentro quei fatti e li ha vissuti, subìti, giudicati dall’interno); la mia memoria di adolescente, con tutte le distorsioni che essa provoca rispetto ad una realtà esterna non ben conosciuta; l’aspetto letterario e romanzesco che ho voluto dare alla narrazione. Per rispondere alla domanda, devo necessariamente far riferimento al piano del memoriale, in cui si evidenziano comportamenti dei politici locali e nazionali orientati ad uno scopo ben preciso. La ragione di tali comportamenti non emerge, se non  come deduzioni logiche che attengono a interessi (se di natura economica, o di carriera politica, o di vantaggi personali, questo non è dato provare), che però evidentemente ci furono per portare gli eventi all’esito conosciuto.”

 

La porta n.10 “ è nuovamente aperta ma non pensa che l’oblio del tempo possa chiuderla di nuovo e cancellare dalla memoria cittadina le sue pagine forse “ troppo scomode “ ?

“ Nel mio romanzo (perchè di questo si tratta, non dobbiamo dimenticarlo: ci tengo a sottolinearlo, in quanto ho fatto lo sforzo, nel cambiare nomi, luoghi, tempi, e nell’immaginare alcuni eventi non realmente accaduti, di segnare un distacco e fornire una visione emblematica di altre storie che, in quegli anni e non solo, ebbero  esiti analoghi per aziende non sufficientemente attrezzate per difendersi da poteri ben più forti), nel mio romanzo dicevo cito l’incipit di un libro inglese che recita: “il passato è una terra straniera”.

Spesso è così: soprattutto nelle comunità piccole e per eventi che non hanno risonanza particolare, succede che l’oblio del tempo seppellisca tutto. Uno degli scopi del mio libro è quello di rendere meno straniero quel passato, darne una rilettura diversa, e in fin dei conti lasciare una memoria scritta (e documentata) di eventi reali.

Se quelle pagine saranno considerate scomode da qualcuno, poco mi importa: la distanza nel tempo di sicuro fornisce uno schermo ad eventuali risentimenti, e questo aspetto è comunque per me secondario rispetto al fatto di aprire “una porta” e fare entrare una luce nuova sull’interpretazione di una storia tuderte (e non solo tuderte). Nessuno puo’ scommettere sulla sconfitta  dell’oblio del tempo, ma almeno io ho provato a lasciare una memoria scritta che spero possa combattere quell’oblio e indicare una strada di riabilitazione per chi ha lottato fino all’ultimo perchè l’esito fosse diverso. “