Ricorrono oggi i cento anni dalla fondazione del Partito Comunista Italiano. La scissione della frazione comunista al congresso del Partito Socialista Italiano a Livorno, con la fondazione al Teatro San Marco del Partito Comunista d’Italia, fu una scelta controversa – Gramsci, a posteriori, parlò di “trionfo della reazione” – dettata da una lettura ottimistica sulle prospettive rivoluzionarie in Italia, da un’analisi superficiale dell’incipiente fascismo e dal massimalismo parolaio di larga parte del Partito Socialista Italiano.
Questa scissione generò, senza alcun dubbio, alcuni errori, che vanno ad inserirsi nel più ampio contesto dell’avvento del regime fascista. Il partito che ne nacque, però, cerco di porvi rimedio fin da subito con le tesi approvate al Congresso di Lione del 1924, col progetto politico mirabilmente messo nero su bianco ne “I quaderni del carcere” da Antonio Gramsci e col disegno gradualista togliattiano che prese forma a partire dalla svolta di Salerno del 1944.
Non si può, quindi, non considerare quella del Partito Comunista Italiano, anche con le sue contraddizioni, una grande vicenda politica ed umana che ha plasmato la nostra storia, attraversando le galere fasciste, le montagne della guerra partigiana, le pallottole della mafia, la conquista della Repubblica ed, infine, la costruzione e la difesa della Costituzione (che porta la firma del Presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini) e dello Stato democratico.
Se, infatti, masse di sfruttati (le “classi subalterne” di cui parlava Gramsci) sono uscite dall’anonimato e si sono emancipate dal giogo dello sfruttamento lo dobbiamo anche in gran parte alla storia socialista e comunista. A quella comunità politica ed umana. Contadini e operai sono diventati classe dirigente locale e nazionale, avanguardia culturale ed artistica, educatori alla libertà di generazioni, masse inserite nello Stato e nel circuito democratico. Una grande opera di pedagogia politica e culturale che ha reso più solida la nostra democrazia, dando piena cittadinanza all’idea di poter incidere sulle condizioni di vita di milioni di persone migliorandole.
Una storia che ha lasciato traccia anche nella nostra città e nelle sue istituzioni, con i due grandi sindaci comunisti del dopoguerra, Quadri ed Antonini, ed un partito fatto di carne e sangue che si è sempre impegnato per il bene comune e per una prospettiva di emancipazione. Storie di militanza appassionata che sono un patrimonio di ogni progressista della nostra città, come testimonia il fatto che la sede del Partito Comunista, comprata grazie ai sacchi di grano dei contadini, sia ancora viva.
Proprio oggi abbiamo pianto salutando per l’ultima volta il compagno Emanuele Macaluso, che di quella Storia è stato protagonista di primo piano e che ha avuto sempre la capacità di rileggerla criticamente e senza omissioni. Vite come la sua testimoniano cosa può fare l’impegno politico per emancipare gli oppressi, ci guidano ad un riformismo che non sia semplice moderatismo, ma trasformazione concreta in meglio della vita delle persone e della società. Questo perché “chi prende l’acqua da un pozzo non dovrebbe dimenticare chi l’ha scavato”.
PARTITO DEMOCRATICO TODI