“Noi adulti ‘sani’ dobbiamo evitare che crescano adulti ‘sgangherati’. La scuola insegna alcune cose, la famiglia altre”
Quando vivi una vita di scherno, di umiliazioni (ingiuste), di battute e di violenze fisiche e psicologiche, le cose sono due: o ti ammazzi o combatti (facendoti aiutare). La storia di Giancarla Maio, 54 anni, ha tutti questi ingredienti dentro. Fin da quando la sua figlia di mezzo aveva 7 anni e fu apostrofata in malo modo dalla maestra. “E’ stata lei a ispirare i maltrattamenti” dice.
Questa non dovrebbe essere un’intervista in cui si parla della vita della ragazzina bullizzata e che ha tentato anche il suicidio, ma Gianfranca non può scindere il suo presente dal suo passato e forse dal suo futuro. Sulle piaghe della figlia (e anche sue, quindi), ha costruito qualcosa. Un’associazione, ‘I ragazzi di ferro’, che vuole aiutare proprio chi è vittima di bullismi e cyberbullismo. Aiutare come? “Noi siamo contro l’abbandono minorile in genere, ossia contro quei genitori che lasciano i figli a loro stessi, magari in compagnia di un telefonino. Io considero le famiglie le vere colpevoli del mondo in cui viviamo”.
Il nome dell’associazione è stato scelto proprio da quella bambina di 7 anni, che oggi ne ha 18: “Un giorno disse: noi siamo ragazzi e ragazze di ferro. Perché chi ci insulta ci ammacca, ma non ci abbatte. Come se avessimo un’armatura, una corazza”. Ciò non vuol dire che non faccia male. In primis proprio alla figlia di Gianfranca e poi a centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze. “Qui a Marsciano sviluppiamo e promuoviamo le attività outdoor, all’aria aperta. Stiamo costruendo dei campi per fare tiro con l’arco, per esempio. E mi sto rendendo conto che ci sono sempre più curiosi che vengono a vedere le esibizioni. Chissà che non si possa pensare a qualche evento di beneficenza associato”. Non solo sport: “Attività manuali, archeologiche-sperimentali. Una buona scusa per fare le cose insieme, con le proprio mani. Vedere come si conciano le pelli, per esempio”. Fare le cose insieme, che è un condividere diverso da quello a cui sono abituati, tramite smartphone, i ragazzi di oggi.
“Ho due figlie su quattro che soffrono di isolamento sociale. Quella che a 7 anni fu definita ‘torsona’, cioè idiota dalla sua maestra, ha il dsa. Ora fa homeschooling, ho la casa piena di tutor e psichiatri. Così come la più piccola che, da quando aveva un anno, è stata immersa – suo malgrado – nelle storie della sorella più grande. Ma fare homeschooling non significa isolarsi dal mondo. Noi e le tutor, per le mie figlie, ci spendiamo portandole ai musei, alle mostre, spiegando loro forse anche di più che in un’aula scolastica”. Un obbligo quello di portare via la figlia dalla scuola pubblica: “Era ed è tuttora emarginata continuamente, è naturalmente in terapia. Nei paesucoli questo è un ulteriore motivo di chiacchiere”. In terza elementare il cambio di classe e scuola per riuscire ad arrivare fino in quinta “Alla medie, però, ha ritrovato gli stessi compagni, che intanto si erano rinforzati nel loro bullismo. Per loro è stato un gioco da ragazzi riprendere a molestare chi invece aveva un ritardo nel modo di difendersi”.
Gianfranca vuole raccontare, non ha paura di farlo. Una ‘mamma coraggio’, di quelle di cui magari non si parla sempre sui giornali: “Io non critico l’intero sistema scolastico. C’è anche una parte che si ribella, ci sono insegnanti bellissime che lottano per salvare, che si scusano anche per le loro colleghe”. Il bullismo, però, è qualcosa che diventa incontrollabile: “A mia figlia hanno fatto di tutto: le hanno bruciato i capelli, hanno fatto ogni tipo di cattiva azione su di lei. E io alcuni di questi atti di bullismo li ho raccolti nel libro che ho scritto. Sono state anche intervistata da RaiUno”. Forse il racconto a volte è frammentato, ma lucido sempre: “L’esperienza didattica è stata fallimentare, ma quando vivi in un piccolo paese tutto deve essere messo a tacere. Io in tv non ho fatto nomi, ma ho parlato delle azioni che sono state fatte contro mia figlia”.
Tanti i fatti gravi: “Lei come definirebbe qualcuno che ti immobilizza e ti mette un fazzoletto in faccia? Per me è tentato omicidio”. Dal bullismo al cyberbullismo il passo è breve: “Internet ha amplificato tutto. Mia figlia ha avuto il profilo rubato, c’è stata una vera e propria gara a scrivere di aver fatto di tutto con lei, una bambina che allora aveva 12 anni. Senza contare i numeri di telefono resi pubblici, scritti sui muri dei bagni. Che poi mia figlia mi ha fatto anche ascoltare alcune di queste telefonate: erano anziani del paese”. Insomma, lo schifo non ha neanche età. E se ti prende di mira, ti obbliga a stare “due giorni a letto, al buio, con solo il cellulare in mano ad assistere alla vita degli altri. Perché ti vergogni di tutto come se fossi tu a doverti vergognare”.
Gianfranca urla quasi: “E poi saremmo noi causa della società che si è incattivita con nostra figlia? Ci hanno detto anche questo”. L’altra figlia, quella che oggi ha 12 anni (ce n’è anche una più grande, che fa la maestra), segue anche lei l’homeschooling: “Fa la prima media, l’ho ritirata dalla scuola dalla IV elementare. Da quando aveva un anno è attorniata dall’orrore, tanto che oggi evita ogni contatto sociali”. Fare scuola a casa non significa però stare sempre tra le mura domestiche: tutt’altro. “Cerchiamo di interessarle e di portarle a concerti, a teatro, a leggere libri in biblioteca. La scuola purtroppo non ha i mezzi e neanche il personale per stare più vicino a chi ha problemi”.
L’associazione ‘I ragazzi di ferro’ è nata nel giugno del 2017, due anni prima c’era stato l’ultimo affronto da parte di un bullo per la ‘ragazza di ferro’, appassionata di percussioni: “Dopo gli sfottò e quant’altro, riuscì a causarle uno shock uditivo che ha causato a mia figlia un anno e mezzo di riabilitazione: un periodo in cui ha sofferto di sordità, paresi facciale e cecità da una parte del viso. Fisicamente si è ripresa, ma ha abbandonato per sempre la musica”.
La storia di questa ragazza potrebbe essere la storia tua, sua, loro: “E’ cresciuta pensando di non avere niente e di non meritare nulla”. Ma la famiglia è rimasta a Marsciano, non se n’è andata, anche su suggerimento dei terapeuti: “Infatti il titolo del mio libro è ‘No, io resto qua’. Io avevo pensato di andare via, cerco di farla evolvere. L’ho mandata a Londra e lei ha parlato con facilità in inglese con tutti, quando avevano detto che i suoi ‘ritardi’ non le avrebbero permesso neanche di farlo facilmente in italiano”.
Gianfranca Maio è da conoscere perché sprigiona energia: “Tra i rami secchi ci sono dei germogli. Noi adulti ‘sani’ dobbiamo evitare che crescano adulti ‘sgangherati’. La scuola insegna alcune cose, la famiglia altre. Dovrebbe perlomeno essere così, invece spesso i due ambienti entrano in contraddizione”. E si costruiscono ragazzi ‘cattivi’, che diventeranno adulti altrettanto ‘feroci’. ‘I ragazzi di ferro’ è un luogo fisico in cui l’accoglienza e l’accettazione sono al centro dell’attenzione, il fare insieme non è solo un modo di dire. Gianfranca Maio, dovevamo parlare di lei e di quello che fa, ma era impossibile tralasciare il resto. Abbiamo taciuto solo i nomi delle figlie, per rispetto. Avremmo volentieri scritto i nomi di bulli e bulle, invece.